Da sempre le bambole suscitano grande attrazione sociale, culturale e commerciale.
Le cause di tale fascinazione sono in gran parte riconducibili al suo statuto ambiguo, a metà tra forme “umanizzate” e oggetti di produzione seriale, privi di qualunque umanità.
Molti artisti, specialmente nel periodo surrealista, si sono interessati a bambole e manichini.
L’attrazione verso la bambola muove anche le opere di Beatrice Alegiani, romana, classe 1972, in cui a far da protagonista è un particolare modello, originarinario del Giappone, la bambola kokeshi.
Quest’ultima, connotata da forme lineari e materiali poveri quali il legno, si è particolarmente diffusa come souvenir ed oggi è conosciuta anche in occidente.
Beatrice, attratta da tutto ciò che riguarda la cultura orientale, ne richiama in particolare l’estetica Kawaii, termine giapponese che allude a tutto ciò che appartiene alla sfera infantile nelle sue forme ingenue ma al contempo maliziose.
L’artista anima le sue Kokeshi Dolls attribuendogli sembianze di amici e conoscenti o personaggi degni di ammirazione, come nel caso di Magritte, che riconosciamo attraverso le sue caratteristiche peculiari: la bombetta e la pipa.
Attraverso questa pratica di “personalizzazione”, la bambola si trasforma qui da oggetto inanimato e privo di fondamenti significanti, in contenitore d’identità, strumento per una differenziazione soggettiva.
Questi gadget di rappresentanza culturale (e quindi commerciale) diventano dunque strumenti per una più ampia riflessione alla ricerca di una indispensabile ricostruzione identitaria.
(Daniela Cotimbo)
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