Per descrivervi il mondo di Alessandra Pivato, illustratrice, pittrice e sperimentatrice di media, dovrei raccontarvi di boschi, di mondi capovolti, di spiagge popolate da uomini senza volto. L’abbiamo incontrata a MostraMi 5, dove ha abbandonato il suo attuale ruolo d’illustratrice freelance per donarci una sua interpretazione dei temi della legalità e di tutti i suoi contrari.
Uomini e manichini (MostraMi 5)
Alessandra Pivato ha la capacità e la fortuna di capire fin da subito il modo con cui comunicare e comunicarsi al mondo: le immagini, più che le parole, generano suggestioni e utilizzano un linguaggio più complesso, che lascia spazio a chi parla e ancor più a chi vuole ascoltare.
Il mondo delle sue illustrazioni (ha illustrato diversi libri per l’editore Kaba) è inquietante, ma non abbastanza da non destare curiosità e da non riportare anche i più impassibili al momento delle storie della buonanotte, quelle autentiche.
Il tuo lavoro a MostraMi 5 si è basato sull’uso di tre colori: grigio, bianco e nero. Di cosa sono metafora queste tinte e come interagiscono col tema proposto, la legalità?
Ho trovato impossibile affrontare i temi di legalità (a cui ho associato il bianco) e d’illegalità, dichiarata e conclamata (nero), senza considerare anche l’esistenza di una zona grigia, purtroppo in continua espansione. Una zona subdola e pericolosa, che rende difficile la codificazione del “bene” e del “male”. In quest’area torbida dai contorni indefiniti che sconfinano sia nel bianco che nel nero, personaggi più o meno corrotti vivono la propria disonestà nell’ombra, confondendosi con lo sfondo.
Affermi di aver intrapreso il tuo percorso artistico quando hai capito di sentirti più capace di esprimere te stessa tramite le immagini piuttosto che le parole. Cosa sei riuscita a dire con i tuoi quadri che, invece, non sei mai riuscita a formulare a parole?
E’ proprio questo il punto, a volte le immagini parlano più delle parole stesse: parlano al nostro cervello ma contemporaneamente evocano anche sensazioni, ricordi e stati d’animo che, appunto perché personali, sono differenti da persona a persona. Nei miei lavori cerco di trasmettere il più possibile delle sensazioni che mi appartengono, ma voglio anche lasciare libero chiunque guardi dall’esterno di interpretare il messaggio a seconda della sua logica, del vissuto e del suo modo di essere: in fondo uno degli obiettivi principali tra autore e fruitore è quello di creare un canale di comunicazione invisibile, tacitamente riconosciuto da entrambi, che a volte può diramarsi in altre strade, non previste, ma che comunque non risultano meno interessanti e stimolanti.
Lavorando come illustratrice ti trovi davanti a storie, personaggi, ambienti che appartengono a qualcun altro e che devi interpretare e raccontare di nuovo in immagini. Si potrebbe pensare che questa sia una “gabbia” per l’espressione creativa: come la vivi?
Io non penso si possa parlare di “gabbia”, come non penso che le illustrazioni siano schiave del testo scritto o del concetto a cui si ispirano. Penso che invece siano parti essenziali di una comunicazione che risulta efficace solo se testo e illustrazioni si completano a vicenda. A differenza di un quadro, la singola illustrazione non ha la pretesa di “racchiudere tutto” all’interno di un’unica cornice, ma rinvia sempre: ora al testo, ora a una successiva immagine, così che arricchisce e si arricchisce di significati, nuove trame, e più approfondite interpretazioni. Personalmente trovo sia affascinante, come sfida, quella di fornire una chiave di lettura parallela a quella del testo scritto e, a volte, di raccontare anche qualcosa in più, evocando sensazioni inesprimibili a parole.
Nei tuoi lavori aleggia un che di fiabesco: la presenza di animali che s’interseca con quella umana, le ambientazioni poco “terrene”, ma anche l’atmosfera a tratti inquietante, da fiabe dei fratelli Grimm. La tua dimensione artistica subisce qualche influenza da questo mondo?
In maniera più o meno consapevole, sicuramente. Le fiabe – in particolare quelle dei Grimm – mi hanno sempre affascinato e inquietato allo stesso tempo (come penso sia stato per tutti). Nei miei lavori ho la tendenza ad esprimere sensazioni di smarrimento e disorientamento. Mi affascina, ad esempio, inserire delle “stonature” o degli elementi di disturbo all’interno di contesti poetici e fiabeschi, come hai giustamente notato tu, o ancora associare soggetti ironici ad ambientazioni noir e inserire oggetti di uso quotidiano in atmosfere senza tempo.
In attesa della seconda parte della nostra intervista: si parlerà di grandi artisti, di ispirazioni e di mondi ribaltati..