Giuseppe Ferrari nasce a Pergine Valsugana, piccola cittadina alle porte di Trento. In famiglia l’amore per l’arte si respira quotidianamente: il padre, Decio, si dedica infatti con passione alla musica lirica.
Ma è Lina, la madre, ottima disegnatrice proveniente dalla scuola del maestro Giulio Bertoletti, ad intravedere da subito nel figlio una spiccata predisposizione per l’arte pittorica, che trova sfogo in una serie di belle figure su quaderni e libri di scuola.
Già all’età di otto anni Giuseppe comincia ad avvicinarsi a cavalletto e colori a tempera, strumenti dei suoi primissimi paesaggi in cui già sono presenti quegli alberi brulli e scarni di foglie che contraddistingueranno poi tanta parte della sua produzione artistica.
Portato controvoglia al collegio di Susà di Pergine tra il 1974 ed il 1975, la sua vena artistica, influenzata dalle continue e particolari richieste dei compagni studenti, viene spinta verso una forma più macabra.
Nel 1984, con l’aiuto di Liliana Fruet, conosciuta pittrice trentina, entra a far parte del “Guernica”, affiatato e numeroso gruppo di noti artisti Trentini.
Esordisce così nella sua prima mostra collettiva, riscuotendo un buon successo che si ripeterà anche nella rassegna dell’anno seguente.
Sempre nel 1985, accompagnato dall’amica pittrice Marisa Fontanesi, entra a far parte dell’archivio del Museo di arte contemporanea a Palazzo delle Albere di Trento con diverse diapositive e materiale fotografico.
È nel 1990 che Ferrari si affaccia alla sua prima esposizione personale in Sala Maier a Pergine, presentando 14 tele, frutto di una continua, costante, ossessiva ricerca del colore e di una tematica tutta sua individuale, definita dall’artista stesso come post atomico. Inventandosi un nuovo linguaggio, Ferrari con sapiente maestria fonde la dimestichezza con campiture, trasparenze e cromatismi al gesto grafico ed elegante della mano, evidenziando quella rara dote che sempre lo accompagnerà nella vita, dipinta in una sublime pagina a lui dedicata da Paolo Zammatteo come una forza che non è aggressiva.
Dopo una voluta pausa durata un decennio, nel 2000 ancora a Pergine, espone per la sua seconda personale 15 nuove opere.
La mostra è presentata in modo esemplare dall’amico, oggi scomparso, Nino Forenza, apprezzato storico e cultore, che descrive la visione che Ferrari ha del mondo come surrealmente surreale, nel cui “ritorno ad una vita (non vita) primigenia gli elementi naturali occupano interamente la scena: terra e cieli grifagni, ghiacci spettrali, acque immobili, astri inconsapevoli o incuranti della catastrofe definitiva”.
Lontano dalle scene ma non dalla pittura, l’estate del 2011 porta il Ferrari sull’Isola d’Elba, dove quasi per gioco si infila all’interno dei tunnel scavati nella roccia dai soldati della Seconda Guerra Mondiale. Nasce da questa esperienza l’ispirazione che lo porterà, qualche mese più tardi, ad esporre ancora una volta in Sala Maier.
Quello che prende vita sulle 24 opere messe in mostra è un Ferrari completamente rinnovato e inatteso: la visione-incubo del post-atomico, con un’assenza pressoché totale di esseri animati, lascia spazio ad una nuova maniera pittorica che, rubando le belle parole di Pietro Marsilli, che cura egregiamente la presentazione, si svolge “ tra mari in tempesta e trombe d’acqua, cascate spumeggianti e tenebrose caverne; resa da sapienti grovigli di verdi freschissimi e rossi infuocati, gialli radiosi e violetti brillanti”.
L’ottimo risultato della personale di Pergine e la tanta richiesta da parte del pubblico entusiasmano l’artista, che lavora incessantemente per poi portare le ultimissime sue opere dal 12 dicembre al 6 gennaio 2013 nella vetrina di Palazzo della Regione di Trento. Anche in quella occasione Ferrari riscuote un enorme successo, culminato di lì a pochi giorni nell’inaspettata visita della direttrice del Mart di Rovereto e dell’Assessore alla cultura di Trento.
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