Ziganoi è lo pseudonimo di Ignazio. La pittura è la mia“ricreazione”, la mia pausa dal quotidiano. Un gioco che nasce primitivo tre metri sotto terra in un garage senza spazi ispirativi ma con occhi colmi di immagini. E così un chiuso sotterraneo diventa l’accesso all’infinito e luminoso mondo della creatività. Nell’universo segreto “La pittura è più forte di me mi costringe a dipingere come lei vuole”, Pablo Picasso. Tonalità intense, personali, suggestive, definiscono linee, soggetti, universi. Rievocano racconti generati in balia di autentiche emozioni, scaturiti dal rapimento dell’istante. Il colore è protagonista, si unisce, si mescola in tutte le sue sfumature, prendendo la forma suggerita dalla mente. Sono immagini interiori, surreali, dettate da una realtà sensibile profondamente interiorizzata. Ziganoi trasla sulla tela il suo cosmo nascosto, rivelandolo entro un labirinto colorito e nei personaggi surrealmente raffigurati.
L’esperienza dell’artista Ziganoi si è sviluppata, nel corso di due decenni, in ambiti diversi, definendo un profilo certamente eclettico, in grado di misurarsi con “possibilità” abitualmente viste come differenti, ma da lui vissuti come equivalenti. L’Arte di Ziganoi è Ziganoi, un continuum tra essere e arte, un logos ossimoro nel quale l’identità dell’uomo convive con l’umanesimo dell’artista in una pluralità di punti di vista.
Se i suoi esordi di pittore si collocavano in un sapiente erotismo raffigurativo, in cui le figure femminili e la natura predominano, dense di emotività, ora la sua produzione si muove nell’ottica del recupero di una dimensione più essenziale in cui il protagonista è il Colore.
I lavori raccontano una storia che mette in scena un universo narrativo e sintetico dove i colori si trovano ad essere oggetto libidico. I colori “inquietano” Ziganoi e, al contempo, tendono ad acquisire una “disciplina irrazionale”, semantica e sensoriale, fino a guidare l’Artista. Ziganoi rinuncia alla potenza dei colori quando sente a rischio lo spazio bianco della tela: e così a volte ricorre al bianco e al nero, solo apparentemente un linguaggio involutivo.
Cifra della contorsione – quello che propone Ziganoi – aperta a figure sinusoidali, a membrane ondulanti, a futuribili spiralizzazioni: tutte pervase da un ardore cinematico riverso per aeree pittosculture, forse destinate a connaturate librazioni, quasi intense cenestesi, sospinte verso orizzonti cangianti, nel desiderio di superare tensioni gravitazionali. Tensostrutture programmate con l’impressione di grafismi, orme, macule; e, nella sottesa catenaria di forze, la nervosa materia pigmentaria di Ziganoi persiste nella sua già matura materia gestuale. Essa, condotta per irritati movimenti di tracce, per scollamenti, si dispone a costruire simboli, percorsi visivi decrittabili in umane morfologie, in sanguigni frantumi botanici, in eruttive esplosioni ben amalgamate in tale versione dionisiaca in cui l’elogio del vino alimenta passioni, tattili empatie. Moduli corporei, dunque, resi essenziali anche da sagome lignee, intrise, organicamente, di scatti metallici: nastri espansibili, per “equilibri elastici” in cui tempo e nostalgia dicono della meccanica umana, di arcane fertilità, del suo rotante trascorrere per usura e suoni. Alla polarità figurativa, comunque, l’artista tende la sua intima pulsione, quella traccia inoffensiva di frantumabile carnalità, ora nel volto, ora nella botanica pastosità d’un fiore selvatico, di un petalo, di un racemo, di una pupilla, il tutto pronto al succo, al distillato e di quanto cuore e segno lascino, frementi, la loro impronta su tele volubili, tinnanti. In una sorta di dripping painting, l’espressione si delamina (in contrapposizione alla tenebrale pastosità che appartenne ad un Piero Ruggeri), per consegnarsi, oggi, alla scomposizione, alla rigenerazione. (Aldo Gerbino)
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