TESTO CRITICO PER COLLETTIVA
IDENTITA’ 4_BRA (CN)
29 SETTEMBRE 2012 2012
Di ogni esistenza, della sua singolarità, nessun nome ci svela il mistero.
Perché di volta in volta di un essere che definiamo un uomo, una donna, dovremmo poi dire il “come”: com’è donna quella donna? E uomo quell’uomo? E troveremo che siamo tutti presi in un gioco di metamorfosi, sempre spostati, sempre obliqui alla ricerca di un giusto significato.
N. Fusini
Nella mia arte, a partire dall’uso dello pseudonimo, cerco questi significati da sempre. Chi sono? Chi sei? Siamo forse la stessa persona? Esiste ancora la tua, la mia immagine? La mia, la tua faccia qual’è? E il tuo ruolo sociale? E la tua personalità? Siamo forse tutti uguali?
Cos’è la nostra identità se non tutto ciò che caratterizza ciascuno di noi come individuo singolo ed inconfondibile? Non dovrebbe essere ciò che impedisce alle persone di scambiarci per qualcun altro? Così come ognuno ha un’identità per gli altri non dovrebbe avere anche un’identità per sé?
Nella mia arte l’identità dei soggetti è quella di uomini/donne comuni, con facce comuni, di uomini/donne qualsiasi sospesi in quello che vorrebbe (o dovrebbe) essere un quotidiano di gente qualunque.
Cerco di raccontare la storia di tutti (o un’estensione della mia) nelle contraddizioni del tempo (presente e/o passato), la storia di coloro che reclamano la libertà di vita e di memoria. Indago nell’inconscio come momento liberatorio, di affrancazione e di riconoscimento definitivo.
E’ possibile decongestionare l’identità dell’immagine e la centralità della figura? Si può raggiungere l’altrove, ovvero un’altra identità, forse quella reale, senza rischiare di volere andare oltre?
I miei personaggi sono da una parte “corpi e volti” condensati e accerchiati in interrogativi permanenti ed universali (inquietudini, indagine, pretesti feticci, provocazione, racconto, paradosso) dall’altro risicano all’osso la loro materia cercando di lievitare verso “altri” lidi, verso stanze di compensazione, scatole iperbariche, mimetiche e circostanziate.
Il tentativo di dare voce alla propria identità fa emergere chiaramente (ovviamente) il dolore e la consapevolezza della sconfitta dell’essere umano, che fa del suo tempo il momento stabile della nuova incertezza tutta sospesa tra l’enigma e la soluzione. Un interrogativo che non propone felicità ma disagio. E forse solo le tante paure da risolvere dentro, le paure di sempre.
E’ per questo che l’unico modo che ho per trovare la risposta e’ quello di assemblare diversi oggetti di recupero, disegnarci e scarabocchiarci sopra, di scombinarli o di cancellarne l’immagine superficiale dipingendovi sopra.
La ricerca dell’identità perduta si concentra quindi su di una poetica della memoria. Una poesia che riflette sugli oggetti dimenticati del nostro mondo quotidiano. Oggetti che si presentano a noi dalle soffitte della vita, per parlarci del loro passato, per interrogare il nostro presente e programmare un futuro. Questi oggetti, una volta de-situati, sono ri-contestualizzati, manipolati, sottratti alla loro funzione d’uso, aprendosi in questo modo a un nuovo rapporto con il reale.
L’identità vera e’ dunque forse rinchiusa nei nostri ricordi? Conservare i colori della polvere, il ricordo dei padri puo’ far ri-nascere la nostra identita’? Riordinare e ricomporre i nostri umili pensieri, spesso quelli che scartiamo, per poi rimodellarli, sovrapporli e ritoccarli, secondo un ordine di musicale equilibrio può essere la strada giusta verso il significato su chi siamo?
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