Indagando la vasta e poliedrica produzione dell’artista milanese Luz (al secolo Marco Luzzi) quella che concettualmente è più stratificata ed esteticamente più “semplice” è la serie dei Bop: attraverso un percorso che affonda le sue radici nell’esperienza del teatro africano l’artista ha assunto ad emblema della sua ricerca una maschera (un simbolo) su cui strato dopo strato ha eliminato il superfluo, ha grattato via ogni impurità, ha liberato l’essenzialità per arrivare tramite un processo di rarefazione ad individuare il nucleo stesso del suo eclettismo.
Il bop in quanto simbolo diventa quindi l’emblema della poetica dell’artista, il mezzo tramite il quale si esprime la lotta tra opposti che ha la sua sublimazione nel momento creativo:
La contrapposizione uno/molti, individuo/massa, solitudine/empatia, si sviluppa in un percorso che cerca di trovare nell’individuo singolo, isolato dal resto della comunità sia concettualmente che fisicamente, il nesso che lo fa di fatto appartenere alla comunità.
Siamo soli nel momento in cui ci poniamo in relazione ad un insieme, ad una moltitudine che dovrebbe essere pensante ma non pensa, dovrebbe parlare ma non parla (eccezion fatta per la presenza del cartello con la firma dell’artista che in un certo senso, entra nell’opera d’arte ad indicare una direzione e suggerire un’azione!) dovrebbe avere un’identità ma si annulla in un più comodo mucchio omogeneo, che sta zitto, che non si oppone, che non si assume il compito di essere significante, di avere un significato…. Nella scelta cosciente di estraniarsi dalla moltitudine l’individuo(bop) -considerato nella sua unicità – dichiara il suo rifiuto dell’omologazione, dell’annullamento nella massa indistinta, vissuta come magma primigenio da cui separarsi, da cui generare una nuova presa di coscienza, una nuova idea di unicità in cui coinvolgere l’altro per far nascere una nuova massa pensante .
In estrema sintesi quello che Luz cerca di individuare attraverso la sua poetica è la linfa vitale che si cela dietro la logica di quello che l’artista stesso definisce “il pensiero oppositivo”, è la ricerca dell’anima, in ogni sua sfumatura, in ogni suo eclettismo, ed in relazione a questo la motivazione per cui l’individuo una volta contestualizzato tra altri individui non vuole essere felice, non tende naturalmente alla felicità…in quest’ottica, l’elemento fuori dal coro è obbligato, moralmente ed ontologicamente ad offrire un alternativa, a garantire un’urgenza emotiva come reazione umana all’infelicità.
Il fruitore dell’opera d’arte ne diventa in quest’ottica parte integrante: lasciando dei margini interpretativi, non riempiendo le zone d’ombra, Luz lascia alla fantasia dell’osservatore il compito di arricchire l’opera d’arte di substrati di significato, non ne incanala il senso attraverso una chiave di lettura prosaica ed opprimente , al contrario usa le differenti interpretazioni come strumento di crescita personale ed artistica, come una spugna assorbe le influenze esterne e rielaborandole crea una sorta di quadro infinito, in cui scandagliare lo stesso messaggio attraverso diventi punti di vista. Così le donne col burqa possono essere dita, o maschere da saldatore, le bocche possono essere caschi da rugby, e gli occhi dei bop sono allo stesso tempo il simbolo dell’infinito o la palla 8 da biliardo……
Del resto l’artista parte dal presupposto che niente di nuovo si possa più creare, niente inventare: il primo , l’unico vero gesto artistico , quello che all’infinito viene reiterato in ogni quadro, ogni scultura, in ogni opera d’arte , è il primo graffito del primo uomo… quindi tanto vale accettare di subire l’influsso di chi è stato prima, assorbirne la pulsione creativa, rielaborare il concetto attraverso il filtro dei proprio occhi, della propria esperienza, esperire la tecnica per impadronirsene, e così all’infinito, in un continuo gioco di specchi e rimandi.
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