Arte contemporanea, comunicazione, linguaggio….sono tutti elementi che Maurizio Caltabiano – l’artista che ha vinto il premio della Commissione Tecnica della quarta MostraEvento – sposa in maniera alchemica. Proseguiamo con le interviste degli artisti di MostraMi al fine di farli conoscere meglio al nostro pubblico.
Inizio con una domanda terribile ma importante chi è Maurizio Caltabiano? Io so che sei un Ingegnere Informatico, un secchione, un nerd (queste ultime due non le ho dette io ma la tua dolce metà!), un creativo, un grafico? Cos’altro? E soprattutto c’è un filo conduttore?
Stavo per iniziare a rispondere facendo finta di sapere come fare. In realtà la prima decina di pensieri che mi sono venuti in mente profilano questa intervista come una seduta di psicanalisi.
Sono stato in principio un bambino ciccione. Cercando disperatamente di nascondere la pancia, studiavo, iniziavo a radermi i baffi, facevo palestra nel garage e disegnavo. Posso oggettivamente essere classificato come un nerd, complici l’Amiga 500 e Lamù.
Oggi lavoro in banca come ingegnere informatico, mi occupo di un bel gruppetto di persone e mi piace, sia il gruppetto che il lavoro.
Non ho mai avuto il coraggio di intraprendere una strada diversa da quella che mi ha portato al lavoro che faccio anche se spesso sono stato incoraggiato dai miei genitori, anche di fronte all’idea di cercare fortuna come designer (io non avrei approvato).
Sono sempre stato attratto dal disegno, dalla grafica e col tempo dall’arte. Ho fatto il grafico, ho disegnato brochure, insegne, inviti per una festa in discoteca, ragazze manga su richiesta e gli sprite di un videogioco.
Gli ultimi quattro anni mi hanno messo a dura prova. L’esserne uscito vivo, mi ha dato il via per il lavoro che ho presentato a Mostrami, che rappresenta il rispolverare anni di idee e disegni.
Subito la domanda su un aspetto che mi ha colpito immediatamente: la tecnica. Mi piacerebbe che tu raccontassi come parte la tua creazione. E’ l’immagine fotografica che ti colpisce o è la realtà?
La fotografia è, fino a quando non cambierò idea (a breve), il punto di partenza. Per rispondere con precisione, rappresenta la realtà. Non sono infatti un fotografo, gli scatti li faccio con la digitale delle vacanze.
La realtà è l’elemento di partenza alla quale sottraggo e aggiungo. Ma non parto dalla realtà, parto dall’idea che voglio mettere in scena e solitamente procedo immaginando la composizione.
Ad esempio in r.2., l’idea è stata suggerita da un’intervista di radio popolare a proposito delle vicende in val susa. Dal lì, l’idea di rappresentare il modo di mettere in scena la protesta, fare vedere se stessi, il sangue sui denti. In questo caso la fotografia entra come mezzo per rappresentare l’idea. Da un lato c’è la foto alla mia faccia, che viene truccata e idealizzata, dall’altro c’è la foto degli alberi, resi astratti e decorativi, come la valle dove avvengono gli scontri e così via.
Qual è l’origine di questa tua commistione di linguaggi: fotografia, testi, illustrazione, fumetto e grafica? Sei autodidatta?
Sono autodidatta, sì. A volte mi vedo come Bukowski che imbuca i racconti da spedire alle case editrici.
Sì hai perfettamente ragione, il mio è un tentativo di tracciare un linguaggio. Sono concetti piuttosto noti, che ho copiato da Mirò, Klee, Lichtenstein, o almeno credo.
Credo che proprio una critica al lavoro di quest’ultimo mi deve aver suggerito l’idea di deviare l’importanza dal soggetto ma sulla rappresentazione. Il tentativo è proprio quello di concentrare diversi strumenti linguistici in modo da dare una traccia all’osservatore, senza in realtà utilizzarli per lo scopo che si prefiggono normalmente.
Uno dei motivi per farlo potrebbe essere quello che per me è una sensazione molto piacevole quella di trovare una composizione, un qualcosa in ‘più’ rispetto alla realtà così come tale, che poi diventa estetica e bellezza.
Le didascalie sono meravigliose, il testo a margine, la luce dei semafori, sono tutti espedienti estetici e funzionali che possono essere estirpati dal loro posto abituale per creare una composizione inutile.
Mi rendo conto tutto ciò che ho scritto è superfluo, con la domanda hai già spiegato.
I testi che importanza hanno?
Il testo, mi fai la domanda ma lo sai, è al giorno d’oggi l’espediente per l’arte astratta come lo è l’ombrellino bianco per il fotografo.
La lettera contiene, con i numeri, un fortissimo concetto di astrazione, e di strumento funzionale per esprimere, tramite il segno grafico, un significato.
Cerco allora di utilizzare il testo a volte come puro espediente estetico, forzandone l’inutilità tramite la ripetizione della stessa lettera, la traduzione errata in caratteri stranieri (rispetto alla parola originale) o come etichetta strappata al suo oggetto, o a volte come un altro appiglio alla realtà travisata (come ad esempio una citazione).
to be continued…